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racconti
Vi metto online i cinque racconti che hanno ottenuto i riconoscimenti più significativi e uno di tutt'altro genere che non ha avuto fortuna, ma che a me piace molto.

Buona lettura.

VALLE TE A CAPIRE, LE CASE…
Salve, sono una casa.
Per la verità potreste definirmi tranquillamente un palazzo, ho un portone con le statue, cinque piani, qualche balcone, fregi su tutte le finestre ( meno quelle del quarto e del quinto, ve lo spiego dopo perché ) ed occupo da sola mezzo isolato. Ma a me l'idea non piace, il termine casa mi è più congeniale, palazzo mi sa un po' di snob.
Sono nata a Trieste nel 1895, me lo ricordo l'architetto che mi ha progettata e costruita, veniva spesso a trovarmi e gli piaceva raccontare ai suoi amici - o erano clienti ? mah, non ricordo, è passato troppo tempo - che mi aveva tirato su in tempi da record, mentre lo diceva mi accarezzava le pareti ed io facevo le fusa, allora ero giovane e vanesia. Lui lo sapeva che ero contenta, credo lo facesse apposta. Aveva un accento strano, era ticinese.

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LA BOCCA SPORCA DI CIOCCOLATO
Basta con i soggetti convenzionali, si era detto Rafael.
Da molti anni il premio della Fiera del cioccolato di Hautecloque, un bizzarro evento in cui una serie pressoché infinita di artisti della scultura in cioccolato si sfidava in una gara in cui la capacità artistica si saldava armoniosamente con la squisitezza della materia, lui non riusciva a vincerlo. E sì che ne avrebbe avuto bisogno, sia per le sorti finanziarie non brillanti della sua chocolaterie, sia per il suo ego di impenitente e squattrinato sognatore.
Il premio veniva sempre attribuito a sculture concepite per piacere un po' a tutti, con quel tanto di classico da non turbare i benpensanti e quel tanto di originale da colpire l'attenzione dei visitatori, il cui voto, espresso durante la loro permanenza in paese, era comunque determinante anche se ufficialmente era la giuria a decidere e proclamare il vincitore. E i giurati sapevano bene che i visitatori - che portavano soldi sonanti, e molti, in quell'antica cittadina - non andavano scontentati, se no non sarebbero ritornati, e allora addio affari.

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SPASSIBA
Un vecchio, vestito poveramente ma dignitosamente, passa davanti ad un banco di fiori quasi vuoto del Danìlovskij Rìnoh, il mercato semicoperto di fiori e frutta vicino al Monastero Danìlovskij a Mosca. E' il primo pomeriggio di una giornata di inizio settembre 1989, fa già freddo ma c'è il sole. Il vecchio ha delle medaglie sulla giacca che luccicano al sole. E' alto, magro, con una barba fluente ed abbastanza ben curata, anche tutto il resto di lui è pulito, persino le scarpe. Non fosse per le medaglie, sembrerebbe un pope. Ha settant'anni e viene da un paesino vicino a Leningrado, che adesso si chiama Pùskino e prima del 1917 si chiamava Zàrskoje Sèlo, dove la famiglia imperiale aveva la villa d'estate. Passa davanti al banco di fiori di una sua vecchia amica, con cui ama chiacchierare ed insultarsi a vicenda, così per gioco. Il vecchio non ha molte altre occasioni di divertirsi, la vecchia lo sa, sta al gioco e lo apostrofa appena lo vede...
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IL GENERALE
"A sus ordenes, Señor Presidente!".
Vicente Caicedo Vargas, Generale de dos estrellas e Comandante dei lanceros, le truppe antiguerriglia, salutò militarmente, non c'era bisogno di altre parole oltre alla formula di rito, il Presidente gli avrebbe fatto sapere anche troppo presto il motivo di quella precipitosa convocazione a Palazzo.
" Comodo, Generale, comodo. Venga, sediamoci qui, staremo più a nostro agio. Come sta Doña Isabél ? E il suo ragazzo ? E' all'Accademia, non è vero ? " .
Lo sappiamo tutti, Signor Presidente, che quando Lei comincia un discorso chiedendo come stanno moglie e figli sta per metterglielo nel culo a uno. Vada al sodo, i miei stanno bene, e spero che continui ad essere così, avere un marito ed un padre morto nell'adempimento del Dovere verso la Patria, anche se è quello con le maiuscole, non è ciò che si augurano, ne può stare certo. Ma non è così che si può rispondere al Presidente, neanche da parte di un amico d'infanzia che ora Le dà del Lei anche nel pensiero...

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JOSÉ ANTONIO, SEÑOR !
Gli avevo chiesto come si chiamasse, e la risposta era uscita forte e chiara. Era un ragazzino dall'età per me indefinibile, non meno di otto e non più di dodici anni, me lo disse poi lui che ne aveva quasi undici.
Era vestito come tutti i gamínes, i ragazzetti che vivevano ( vivevano ? hm, sopravvivevano è forse più esatto, e mica sempre, anzi ) per le strade di Bogotá, scarpe scalcagnate, calze una volta sì e due no, pantaloni stracciati di due misure più grandi, un qualcosa che doveva essere stato una camicia a quadri e la ruana, il poncho colombiano, fatto da una specie di coperta di lana spessa con un taglio centrale per la testa, buona per il sole, la pioggia e il freddo...

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LA MOSCA
Il ragno è stanco, molto stanco. Da una vita non fa altro che tessere la tela e dal sindacato da poco gli hanno comunicato che per la pensione ci vogliono ancora 2 anni, fanno diciamo 3 ragnatele alla settimana, 3 x 52 x 2 = 312 ragnatele, cacchio ! e magari qualcuna di più se fa brutto tempo o peggio se c'è il vento, che le straccia in un attimo, nonostante siano progettate per lasciar passare l'aria...
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