Nel frattempo si continua a lavorare. Ho
come si suol dire “nel cassetto” un altro romanzo, diverso ancora
una volta.
GENTE IN EQUILIBRIO INSTABILE
Tre amiche si incontrano in un caffè. La cosa in sé non ha nulla di strano, è successo spesso negli ultimi vent’anni, dopo che un altro incontro nello stesso luogo ha trasformato le tre donne in una strana, inconsueta famiglia allargata.
Vent’anni prima Carla ha annunciato alle due amiche una gravidanza imprevista che ha condizionato in maniera irrevocabile la sua vita e le loro.
Raffaella e Valeria hanno più o meno consciamente messo la loro esistenza a servizio di Carla, con tutte le conseguenze possibili ed immaginabili sul piano affettivo, lavorativo e sessuale, e delle normali esistenze borghesi hanno preso vie impreviste, senza che in fondo nessuna delle tre si sia veramente chiesta chi ha influenzato o manipolato chi.
Nel trascorrere degli anni le tre hanno formato una specie di collettivo informale per allevare un ragazzo, Enrico, nei confronti del quale nutrono sentimenti forti, anche se ognuna a modo suo, secondo le inclinazioni, i condizionamenti ambientali ed ideologici, il vissuto personale.
Ognuna ha trovato un proprio equilibrio: tout se tient, diceva Meillet, sapendo benissimo che l’equilibrio è la condizione instabile per eccellenza.
Ma nell’ultimo incontro Carla fa un annuncio del tutto inatteso e la verità si incarica di sparigliare le carte. Gli equilibri si rompono, la bugia di una vita intera viene a galla, i sentimenti si rivelano per quello che veramente sono, e la vita si afferma nel suo divenire: ogni personaggio vuole, anzi pretende la propria autonomia operativa e di giudizio, con conseguenze dirompenti nelle relazioni interpersonali.
Le convenzioni borghesi, pur salde, mostrano crepe profonde, quando si scopre che vent’anni sono passati in un inganno voluto e saldamente custodito da Carla. Il suo mondo comincia a crollare quando a causa di un banale incidente automobilistico a migliaia di chilometri di distanza Daniele, il quasi dimenticato partner della gravidanza, decide di rifarsi vivo con un progetto dissennato. E il crollo del mondo di Carla non può non comportare quello dei mondi paralleli di Raffaella e Valeria, di Giorgio, il compagno di Carla, di Enrico e di Giuliana, la sua ragazza.
Rimane molto poco, alla fine. Forse qualcuno ricostruirà sulle macerie,
ma per altri non ci sarà una via d’uscita. .
In effetti tra novembre e dicembre 2008 sono usciti due miei romanzi.
Il primo ad uscire è stato “La spilla di Janesich”, di cui vi presento
la copertina. L’editore è Mobydick di Faenza. È già stato presentato
a Trieste, a Mantova, a Torino, a Poggio Rusco e a Villa Poma, in
provincia di Mantova.
LA SPILLA DI JANESICH
Tutto parte da una spilla di diamanti, un gioiello antico realmente
esistente, la cui provenienza dal laboratorio di un famoso gioielliere
triestino è accidentale, ma mica poi tanto.
Il possesso della spilla è l'elemento che unisce varie generazioni
della famiglia Saralvi - ebrei ferraresi stabilitisi a Trieste nel
1813 - che dai tempi dell'Austria Felix a quelli della new economy
conosce fortune e traversie.
La narrazione parte ai nostri giorni, con la vendita della spilla
da parte di Marina, l'ultima discendente, che interrompe questo
lungo fil rouge in nome di un progetto in cui amore e successo hanno
pesi disuguali, forse non chiari nemmeno a lei, ma significativi.
Decisione non facile, di cui si pentirà, forse.
In un gioco di flash-back la storia della spilla si snoda nel tempo
e si intreccia con quella della famiglia, in cui il gioiello gioca
un ruolo unificante anche nei momenti più bui, ed in qualsiasi famiglia
ebrea non ne sono di certo mancati, lo sappiamo tutti, nel secolo
appena trascorso.
Tra successi ed insuccessi mercantili e sociali, coinvolti nel travaglio
di ripetuti cambi politici epocali, immersi nella storia particolarissima
di Trieste ( e del popolo d'Israele in essa ) gli uomini di casa
Saralvi faranno tutto ciò che il loro retaggio maschile indica e
permette per mantenere e trasmettere integro il patrimonio familiare,
finanziario e morale. Non sarà sempre un compito facile.
Come è accaduto in tante famiglie borghesi, c'è chi è diverso, chi
ha le mani bucate, chi si sposa fuori dal suo ceto e dalla sua gente,
chi abbandona la propria religione nel tentativo di mettersi al
riparo dalla catastrofe incombente, ed ognuno ne paga – in primis
di fronte a se stesso - le conseguenze.
Ma - anche se può sembrare il contrario - le vere protagoniste della
storia dei Saralvi sono le donne di casa, le depositarie della spilla.
Quelle che partecipano ai successi e alle disgrazie dei loro uomini
con sentimenti non sempre silenziosi, ma sempre intensi, di ammirazione
e rabbia, di ironia e compassione.
La spilla assiste a tutto, testimone inanimato ( ma lo è veramente,
inanimata ? ) dall'alto della purezza del suo disegno e della preziosità
dei suoi materiali.
E la storia ricomincia da capo, nell'ordinaria ciclicità delle cose
del mondo.
Poco dopo è uscito “Per una stella da Maresciallo”, editore Robin
di Roma. Eccovi la copertina. È stato presentato a Trieste e a Poggio
Rusco.
Per questo romanzo sono stato invitato a partecipare agli inizi
di ottobre 2009 al Festival “Grado Giallo” in cui ho partecipato
ad un incontro su “La spy story dopo la caduta del Muro”. Presentava
Alan D. Altieri.
PER
UNA STELLA DA MARESCIALLO
L'azione si svolge a Mosca nel 1989, quando l'autore viveva
in quella che era allora l'Unione Sovietica. Il romanzo ha una trama
complessa, una vicenda di spionaggio industriale.
La storia è nelle intenzioni un mezzo ( non un pretesto ) per descrivere
l'URSS di Gorbaciov con le sue contraddizioni, ed il modo di vivere
e di essere dell'homo sovieticus coinvolto in quel periodo di turbamenti
sociali ed economici che ne stava mettendo in discussione i valori
profondi, a oltre 10 anni di distanza il risultato è sotto gli occhi
di tutti.
Sarebbe difficile dire chi è il personaggio principale, ognuno ha
una propria vita, della quale in alcuni casi è dato uno flash-back.
La figura centrale, il ragno in mezzo alla tela, è però Pasha Sovorilov,
generale in pensione, che in linea con le nuove tendenze è a capo
di un ente sovietico che ha rapporti d'affari con l'Occidente. Il
suo desiderio di morire da Maresciallo dell'URSS lo induce a combinare
una complessa operazione di spionaggio industriale, in cui coinvolge
il suo principale collaboratore, Andrej Orlov.
Questa operazione travolge loro malgrado personaggi sovietici e
non, in particolare - ed a sua insaputa, lui non capirà mai cosa
è veramente successo, nemmeno alla fine - il nuovo Rappresentante
Generale a Mosca di una società tedesca che con l'oggetto dell'operazione
non c'entra nulla ma che viene presa in mezzo a fini di mascheramento.
Ovviamente anche nell'URSS di Gorbaciov nulla del genere può avvenire
senza che chi di dovere ne abbia parte, il che mobilita il Comandante
della Milizia ed un Generale del KGB con un maggiore donna, Ljubov,
che non hanno solo rapporti d'ufficio. Ljubov avrà incidentalmente
l'incarico di sedurre Andrej, cosa a lei non nuova e non sgradita.
Lo scambio dei documenti avviene a Berlino Est, con la partecipazione
dei servizi della DDR.
Pasha alla fine la avrà, la sua stella da Maresciallo, ma a quale
prezzo, morirà con il gusto della cenere in bocca. E le storie di
tutti i personaggi continueranno, la vita non si ferma. Ma l'autore
non ha voglia di seguirli in quella che non è e non sarà mai più
la Soyùz, l'Unione Sovietica che lui ha conosciuto.
Nel frattempo ho scritto un'altra storia, intitolata “La bambina
in rosso” sulla vita di Egon Schiele, il famoso espressionista viennese.
LA
BAMBINA IN ROSSO
Cosa c'entra una bambina di pochi anni, bionda e vestita
di rosso, con Egon Schiele, il famoso espressionista viennese? Le
ha di certo fatto un ritratto nel 1916, presumibilmente verso maggio,
ma non si sa chi lei sia.
Non sarà per caso Gertrude Peschka, la figlia della sorella Gerti
(sorella, modella e qualcosa di più) sposatasi con Anton Peschka,
collega ed amico di Egon? E perché no, in fondo Gertrude in quel
mese di maggio aveva quasi tre anni.
Ma forse non è lei, anche perché di Gertrude non si sa un bel nulla,
salvo che è nata nel 1913, è morta nel 1944 e riposa con mamma e
papà nella tomba di famiglia a Ober St.-Veit, un cimitero periferico
di Vienna. Lo zio Egon ha ritratto spesso il fratellino minore,
Tonerle, ma se lo ha fatto con lei si è ben guardato dal nominarla.
Strano, no?
In 28 anni di vita Egon Schiele ha lasciato dietro di sé un numero
di opere imprecisato (2500? 3000?) e - nell’immaginario collettivo
- è un pittore erotico, se non pornografico.
Colpisce chiunque, come me, il rapporto peculiare – certamente complesso
– che questo maestro della linea e del colore ha visibilmente avuto
col mondo femminile. Non era certo misogino, tutt’altro, ma c’era
in lui una forte componente del cosiddetto “male di vivere”.
Su Schiele come artista è stato scritto moltissimo. Per contro su
Egon come uomo, sulla sua vita privata ( salvo alcuni aspetti un
po’ da feuilleton, che hanno ispirato anche un modesto film), sulle
ragioni intime di questo suo male di vivere si è scritto poco.
In questo romanzo ho cercato di analizzare i suoi rapporti con le
persone più prossime, e segnatamente con le sue donne, nell’intento
di capire e far capire come egli abbia vissuto la sua vita affettiva.
E ciò sempre che di reale vita affettiva si possa parlare in un
soggetto che si rivela talmente concentrato su se stesso e sulla
propria arte che si potrebbe parlare di solipsismo anziché di uno
scontato egoismo maschile.
Ma chi era Egon? Un piccolo borghese che della vita borghese accetta
selettivamente tutto (e solo) quello che considera funzionale alla
sua missione, un anarchico che nella vita corrente non si altera
mai in omaggio ad un principio di efficienza, una personalità libera
ma condizionata in senso eroico dalla figura paterna, un fratello
innamorato – non direi in senso platonico – della sorella Gerti,
un eterno fanciullo, insomma, lo ha detto lui stesso.
Questa storia di Egon e Gerti non è ovviamente quella “vera” che
nessuno conoscerà mai. La ricostruzione è parto della mia (documentata)
fantasia di scrittore, senza alcun intento scandalistico, al solo
fine di raccontare un uomo come forse egli è stato. Anche impietosamente,
se necessario.
Ho scelto di farlo tramite le sue donne – soprattutto Gerti, la
più importante - ed altri personaggi, tutti intervistati post mortem,
con una tecnica non nuova ma che mi ha consentito di far rivivere
delle figure affascinanti ed intriganti.
Come spesso accade nella scrittura, il personaggio principale alla
fine risulta essere Gerti, la sorella, anziché Egon. E forse in
tutto ciò ha un ruolo una certa bambina in rosso…
Vi ho già detto che con il romanzo " Il Professore " nel 2001 sono
stato il vincitore della sezione Narrativa al " Leone di Muggia
", un premio letterario locale ma di grossa tradizione, sponsorizzato
dal Comune di Muggia e dall'Università Popolare di Trieste, che
ha raggiunto la 41esima edizione.
Grande soddisfazione quella di vincere al primo colpo e " in casa
", ma la cosa più importante è stata che il primo premio prevedeva
la pubblicazione del romanzo da parte della Ibiskos Editrice di
Empoli, gestita da Antonietta Risolo.
L’edizione è esaurita.
IL PROFESSORE
Il racconto inizia nel 1970 in un cimitero. E' morto il Professore,
uno di quelli con la P maiuscola, e chi narra è un suo amico molto,
molto più giovane, un "quasi nipote", come diceva lui.
Tutto è giocato sulla rievocazione della figura del Professore in
un contrappunto di cui le voci recitanti sono molteplici : il "quasi
nipote", ironico e disincantato narratore principale, il collega
amico/nemico (un altro barone universitario), il Professore stesso
come revenant nei sogni (negli incubi ?) del narratore, le sue donne,
la moglie e le amanti, che hanno un ruolo da coro greco.
Non c'è trama, c'è solo la storia di un uomo, vista da tanti angoli,
di una vita complessa e sfaccettata e dominata da una incombente
figura paterna, di uno spirito - quello del Professore, che come
molte persone di genio è più amorale che immorale - che non trova
pace né in sé né nel mondo.
Una vita piena, molto piena. Ma anche piena di ipocrisie e di incertezze
ben camuffate, di liasons complesse, di menzogne più verso se stesso
che verso gli altri. E di cose che hanno lasciato dei segni, delle
unghiate nella vita di altre persone, in particolare delle sue donne,
che lo hanno sempre visto per quello che era, o per quello che a
loro sembrava.
L'azione si conclude in un altro cimitero tra le montagne. Non è
morbosità, il narratore fa visita al vecchio amico, dopo tanto tempo,
e vi incontra per la seconda volta una delle donne del Professore,
quella importante, che è ancora molto bella.
Non si sa di preciso come finisca la storia, il fatto è che il narratore
decide di accettare per quella notte l'ospitalità della signora
nella casa paterna del Professore, tra le montagne, quella che lui
le ha lasciato in eredità.
IL RIVALE DI CESARE
Caio Giulio Cesare lo conosciamo tutti.
Marco Calpurnio Bibulo, suo collega nel primo Consolato, è invece ignoto ai più, ma non per questo la sua vita è di poco interesse, soprattutto se si investigano i legami - familiari e non – con quella di Cesare.
L’autore ha puntigliosamente ricostruito la biografia di Bibulo, traendo delle autonome e (forse) arbitrarie conclusioni dalle notizie raccolte nei testi dell’epoca – chi fosse interessato troverà in fondo al romanzo le “ Note per il lettore attento e curioso “ che danno sommariamente conto delle ricerche – ed ha immaginato una storia che si snoda parallela a quella di Cesare. L’epilogo non sono le Idi di marzo, anche se tutto ruota intorno all’assassinio di Cesare ed alle sue motivazioni profonde.
La vicenda si apre con l’invio in punto di morte da parte di Lucio Calpurnio Bibulo - figlio di Marco - delle memorie del padre ad un anziano Legato, Tullio Scribonio Libone, già sottoposto di Bibulo durante la Guerra Civile.
Tali scritti verranno distrutti per la pericolosità delle notizie in essi contenute. Ma si sa, non sempre le buone intenzioni sono sufficienti, e la storia riemerge nella corrispondenza di Porcia, moglie di Bibulo, con Flavia, sua amica di una vita, e in una sorta di diario in cui quest’ultima, in tarda età, annota le lettere di Porcia.
Ma chi era veramente Porcia ?
Non è stata solo la moglie di Bibulo: dopo la sua morte e prima delle Idi di marzo del 44 a.C. è stata anche moglie di Marco Giunio Bruto, (probabilmente) figlio di Cesare e (certamente) capo dei congiurati che lo uccisero.
Sarà stato solo l’amore della patria e della libertà il movente del tirannicidio ?
L’autore ritiene che vi siano state motivazioni più profonde e personali, e che Porcia vi abbia avuto un ruolo ben preciso, in cui si mischiavano amore, risentimento e desiderio di vendetta.
Se ciò sia anche solamente plausibile lo giudichi il lettore.
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